INTRODUZIONE ALLA TERZA EDIZIONE

O voi ch'avete li'ntelletti sani

mirate la dottrina che s'asconde

sotto'l velame de li versi strani”

(DANTE Inf. IX 61-63)

 

 

Quando si cerca di analizzare la presenza di elementi iniziatici nella cultura popolare si rischia da un lato di spazientire gli esoteristi “seri” già abbondantemente seccati dal pressapochismo e dalle derive moderne, e dall’altro di venire tacciati dalla critica letteraria ufficiale di fare dell’“ermeneutica sospettosa”, ossia di proporre analisi  inficiate da preconcetti personali.

Ai puristi della Tradizione Guénoniana che forse storceranno il naso di  fronte ad un testo che ha la pretesa di valutare il contenuto esoterico di una popolare serie d’animazione, rispondiamo proprio citando Guénon che «è sempre al popolo (…) che viene affidata la conservazione delle verità di natura esoterica che sennò correrebbero il pericolo di perdersi, verità che per certo esso è incapace di comprendere, ma che proprio a causa di ciò trasmette tanto più fedelmente, quand’anche esse pure debbano, a questo fine, essere ricoperte da un travestimento più o meno grossolano»[1]. Ciò che è valido nella trasmissione di dogmi religiosi incomprensibili ai più (e perciò sopravviventi intatti), lo è anche per gli elementi iniziatici veicolati da opere popolari, ad esempio dalle fiabe, dalla mitologia, dai romanzi del Graal e dalla Divina Commedia che fu appositamente stesa in volgare per restare nel “bacino popolare” pur trattando del più alto esoterismo. Moltissime componenti del presunto folklore trattano in realtà «di elementi tradizionali nel vero senso del termine, anche se talvolta deformati, menomati o frammentari, e di cose aventi un valore simbolico reale, onde tutto ciò, lungi dall’essere di origine popolare, non è perfino nemmeno di origine umana. Ciò che può essere popolare è unicamente il fatto della “sopravvivenza”, quando questi elementi appartengono a forme tradizionali scomparse… risalenti talvolta ad un passato così lontano che sarebbe impossibile determinarlo (…). Quando una forma tradizionale è sul punto di estinguersi, i suoi ultimi rappresentanti possono affidare volontariamente a quella memoria collettiva, di cui abbiamo detto, ciò che altrimenti andrebbe irrimediabilmente perduto. È, insomma, il solo modo di salvare quel che può ancora, in una certa misura, essere salvato. E, allo stesso tempo, l’incomprensione naturale delle masse è una garanzia sufficiente a che quel che possedeva un carattere esoterico non vada a perderlo, ma sussista come una specie di testimonianza del passato per coloro che in un’altra epoca saranno capaci di comprenderlo»[2]. A colpirci non sono forse proprio gli elementi miracolosi, l’apparente stranezza e assurdità delle fiabe, della mitologia, dei dogmi religiosi? Nei loro archetipi intuiamo a livello subcosciente l’apertura a verità superiori, che s’imprimono ineluttabilmente in noi al di là della nostra immediata comprensione.

Per quanto concerne invece la critica all’interpretazione di tipo esoterico, essa trova in Italia un autorevole rappresentante in Umberto Eco il quale, sia nel celebre romanzo “Il pendolo di Foucault” che in alcuni saggi letterari[3], mette in guardia i suoi lettori dagli “adepti del velame” e dal loro “delirio esegetico”. Agli scettici ricordiamo però che in alcuni casi, come quello che ci apprestiamo a presentare, una sovrainterpretazione non è soltanto necessaria, quanto piuttosto l’unico approccio ermeneutico sensato. Come infatti molti studiosi (George Dumézil, Pauline Duval, Cesare Della Riviera, Mircea Eliade, Joseph Campbell, Antoine Pernety, P.G. Sansonetti, solo per citarne alcuni) hanno ampiamente dimostrato, le fiabe popolari, la mitologia e le gesta dei cavalieri della Tavola Rotonda del ciclo arturiano sono intrise di un onnipresente simbolismo ermetico, che spesso rappresenta l'unica chiave di lettura di vicende assolutamente assurde, se considerate sotto il profilo letterale. Del resto, insegna l’ermeneutica dantesca del Convivio, il senso letterale è il livello di lettura più basso –corrispondente all’evangelica “lettera che uccide” – al quale possa essere sottoposta un’opera che presenti rimandi esoterici.

Si tratta quindi di abbattere quel “pregiudizio letterario” diffuso in ambito accademico e descritto da Julius Evola come «l’atteggiamento di chi, nella saga e nella leggenda si rifiuta di veder altro che una produzione fantastica e poetica, individuale o collettiva, ma in ogni caso semplicemente umana, disconoscendo, dunque, quel che in essa può avere un superiore valore simbolico e che non può ricondursi ad una creazione arbitraria. Invece proprio questo elemento simbolico (…) nelle saghe, nelle leggende, nei miti, nei racconti di gesta e nelle epopee del mondo tradizionale costituisce l’essenziale»[4].

Poiché riteniamo la serie Saint Seiya riconducibile al filone ermetico/cavalleresco quale moderna “vulgata” in versione manga[5], ci proponiamo in questo studio di approfondirne quelle caratteristiche che rischiano di non essere colte ad uno sguardo superficiale, rimanendo “annegate” nella fabula pur mantenendo intatta la propria potenza archetipica. Noi crediamo fermamente, infatti, che il dato esoterico abbia influito molto più di quanto si possa immaginare al successo mondiale della serie e possa rappresentarne un’inedita quanto sorprendente rilettura.



[1] R.Guénon, “Iniziazione e realizzazione spirituale”, Luni Editrice 2006, p.175

[2] R.Guénon, “Simboli della scienza sacra”, Adelphi 2005 p.35

[3] U.Eco, “Interpretazione e sovrainterpretazione” e “I limitidell'interpretazione”,   entrambi editi da Bompiani

[4] J.Evola, Il Mistero del Graal, ed. Mediterranee 2002, p.45

[5] Il kanji "Manga" significa “immagine in movimento” ed è il termine usato per indicare i  fumetti nipponici